LE PICCOLE MORALI DI UN COMPOSITORE SILENTE
- Marco Marini
- 28 ott 2015
- Tempo di lettura: 4 min

cap 5
Marco ha avuto la fortuna di poter entrare in contatto con molti musicisti: nella sua vita aveva conosciuto molti stili, molti tipi di musica. Questo era perché per un certo periodo aveva lavorato in una sala di registrazione, e da lì ha imparato molto per praticare la sua professione. Incontrava in quella sala molti clienti, dai cantautori ai gruppi musicali, dai Djs ai cantanti. Ma non aveva potuto non notare la grande quantità di rappers che venivano a registrare nello studio dove lavorava. Non c'era nulla da fare, quel genere era il più diffuso e praticato in quel periodo, e per questo motivo il compositore silente decise di informarsi su ciò che lo rendesse così apprezzato: non aveva intenzione di diventare un rapper da un momento all'altro, non poteva, e non voleva, poiché dava più importanza alle note che alle parole nei suoi brani, ma conoscere le bellezze di questo genere di certo non gli avrebbero fatto male, anzi gli avrebbe solo aperto la mente. Dopo un po' di ricerche, il compositore aveva notato un grandissimo potenziale in quello che ha iniziato ad ascoltare: vedeva che le basi potevano essere create in qualsiasi modo: se fossero state formate da una cassa e un rullante, oppure campionate da una canzone già esistente o ancora costruita ed architettata dalle fondamenta , non avrebbe dovuto importare niente: l'unica cosa importante era quella di dare un ritmo a chi avesse dovuto recitare i propri versi. Le basi canoniche dovevano essere un minimo ripetitive nella struttura e rispettare delle metriche precise, ma c'era ancora tanto di quel potenziale ancora non esplorato, ancora non sperimentato. Molti musicisti si lamentavano perchè consideravano questo genere musicale non all'altezza degli altri. Marco Non approvava questo pensiero: non era il tipo di musica il vero problema, ma chi lo praticava. Di tutti quelli che aveva incontrato, pochi erano dei rapper giusti. D'altronde, quando un tipo di musica viene incentivato così tanto, pochi artisti hanno la razionalità di creare ciò che si sentono al posto di ciò che teoricamente funziona: questo porta molti nuovi musicisti a prendere la strada considerata più semplice, benchè sia la meno adatta per loro. In quel caso, Marco vedeva molti neofiti della scena rap che lo facevano per l'immagine, per avere un'identità che fosse al di sopra degli altri. Tra questi c'erano tanti tipi di "rapper" sbagliati: c'erano conservatori che rifiutavano ogni singolo stile che non fosse quello della old school americana, quelli che dicevano di essere dei talenti assurdi, ma che se gli davi una base che si discostava dal solito ritmo 4/4 si perdevano; quelli ribelli che dicevano "fanculo la scuola, la cultura non è da rapper", e quelli di youtube, che pensano solo ed esclusivamente al numero delle visualizzazioni che accomulavano i loro brani: tutti modelli che per lui erano da evitare. Di questi il nostro compositore non sopportava tante cose: la loro mentalità poco aperta, il loro talento limitato, la loro fragile esperienza, ma soprattutto, la loro arroganza. Quell'arroganza che li rendeva cechi davanti ai loro limiti, quell'arroganza nel relazionarsi con gli altri, quel loro attegiamento di ignorante superiorità, che li metteva su un instabile piedistallo di vetro, pronto a spezzarsi alla prima crepa. Per Marco Il vero rapper era tutt'altra cosa, lontano da ciò che molti potevano pensare: un "solo rapper", quello che non sapeva fare altro che scrivere testi, non era un musicista, ma al contrario un grande poeta ispirato dalla musica. Esatto, "poeta"; questa è la parola chiave. questo è ciò che un vero rapper deve avere in testa. La loro capacità non sta necessariamente nel creare musica, non serve: la loro dote è quella di creare testi adatti ad ogni ritmo che sentono, e saperli recitare con la giusta interpretazione. Non si migliora questa capacità facendo i conservatori, come fanno quelli che fanno differenza tra la "old school" e la "new school": la lingua inglese è molto diversa da quella italiana: è più maneggevole, più alla mano, e i testi sono basati sulle alliterazioni, mentre la seconda è più poetica, più articolata. La cosa che non dovrebbe mancare ad un rapper è la voglia di ampliare la propria cultura, studiando i primi poeti che avevano cominciato a scrivere in versi, da Boccaccio a Manzoni, Da Petrarca a Foscolo, scoprendo nuove figure retoriche da mettere nei pezzi, imitando le strutture di quelle antiche poesie, migliorando nella recitazione per avere una padronanza maggiore della propria voce. Solo così sarebbero nati progetti mai visti: Basi in 9/8 o in 16/15 per esempio, oppure rime incatenate come faceva Dante, strutture con strofe anche di 3 versi. Insomma, cose che non si sono mai sperimentate. Del resto il vero rapper è comunque un artista come tutti gli altri, sempre curioso di esplorare e pronto per ruggire sul palco, poichè la sua bravura non si vede da come si atteggia sul palco, ma dai versi che esprime davanti al suo microfono.
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